Il percorso di Vitangelo Moscarda è una vera e propria discesa ad inferos. Compiuta, a partire da una banalissima percezione, la scoperta del frantumarsi dell’io, Vitangelo sprofonda progressivamente in un abisso dove regnano follia e morte. Ma l’esito finale di questo viaggio è il Paradiso. Un Paradiso molto diverso da quello dantesco, un Paradiso fatto di immersione panteistica in tutto, nel Tutto. Se Vitangelo Moscarda, dopo essersi illuso, come tutti, di essere “uno” ha sperimentato il brivido angoscioso di essere “nessuno”, ora è approdato alla confortevole percezione di essere “centomila” cose, in questo mondo dove, se c’è un Dio, è il deus sive natura intravisto da Spinoza. Così che l’esito finale del romanzo anticipa la meravigliosa novella del 1934 Di sera, un geranio.
Ecco perché ho scelto di affidare a un solo attore il ruolo di Vitangelo Moscarda e agli altri attori più personaggi: per rovesciare ciò che accade a Vitangelo. Se l’unicità del soggetto è ormai un mito smascherato, la piena coscienza di questa ineludibile condizione è l’unico elemento capace di ricostituire un fievole principio di identità. Vitangelo, cioè, rispetto agli altri personaggi, è un passo in avanti nell’infinito percorso di ricostruzione di un’identità, poiché è cosciente della sua impossibilità.
GIANCARLO LOFFARELLI