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Per le stesse motivazioni, ho chiesto a Paolo Giusti, nella composizione dei due Temi musicali originali presenti nella messinscena (accanto a opere “classiche” di Prokofiev, Mascagni, Bizet e Sibelius), quello di Ariel e quello di Caliban, che essi fossero strutturalmente collegati fra di loro. Ne sono uscite due composizioni che nascono da un’idea contrapposta ma contigua di cielo e di terra: due realtà che si toccano ma non si amano, entrambe nascenti da una tonalità minore che quindi sfociano in una maggiore, pur se in modo diverso. Ariel nasce in un tono minore dolce e leggero come pulviscolo o batuffoli di cotone che volano leggeri nell’aria. Il primo tema è trattato in modo contrappuntistico tra un flauto e due violini per sfociare nella gaiezza del secondo tema, in forma di danza. Caliban è nello stesso tono minore ma più pesante, tanto da non riuscire quasi a staccarsi dalla terra alla quale appartiene come elemento della stessa materia; sfocia anch’esso in un maggiore, però più inquietante e sempre affidato all’oboe, strumento che Shakespeare stesso sente come demoniaco.

In quest’opera, Shakespeare rompe le unità di luogo e di azione per mantenere quella di tempo. Io ho voluto rompere anche questa, per consegnare la vicenda a un’extratemporalità che le faccia attraversare le epoche con maggiore evidenza.

Ho voluto, infine, comporre l’insieme cromatico della scena basandomi sulla teoria dei colori di Goethe (in Zur Farbenlehre), vale a dire costruendo opposizioni cromatiche che producono una forza attrattiva: Ariel (bianco)/Caliban (nero); Ferdinand (rosso)/Miranda (verde); Prospero (blue)/Alonso (arancio); Trinculo (giallo)/Antonio (viola).

GIANCARLO LOFFARELLI