LA DONNA DEL MARE
di
Henrik Hibsen
NOTE DI REGIA
La donna del mare fu Scritta da Ibsen quando egli aveva sessant'anni, fra il giugno e il settembre 1888, a Monaco di Baviera e quando fu rappresentata per la prima volta, il dodici di febbraio del 1889, contemporaneamente al Kristiania Theater di Oslo e all'Hoftheater di Weimar, non ebbe un grande successo, per quanto egli fosse già il drammaturgo di opere che avevano segnato progressivamente il teatro europeo: Peer Gynt, Casa di bambola, Spettri L'anitra selvatica, Rosmersholm. Ben presto, però, l'opera si riscattò da quell'insuccesso iniziale e divenne uno dei testi ibseniani più rappresentati. In Italia fu messa in scena per la prima volta nel 1894, ma questo testo rimase legato alla figura della Duse che ne segnò l'affermazione italiana con una memorabile messinscena nel 1921 a Torino. Lo stesso Pirandello si cimentò nella regia de La donna del mare, nel 1926 a Firenze affidando il ruolo di Ellida a Marta Abba.
L'interpretazione più diffusa di quest'opera può essere riassunta nel giudizio di N. Chiaromonte: "Fra le eroine ibseniane, Ellida è certo la più femminile. Come appunto Berenice [di Racine], vinta dalla tenera disperazione del suo imperiale amante, si piega alle leggi di Roma, cosi la 'donna del mare' naufraga in terraferma, ammansita dalla comprensione di Wangel, cede all'inerzia del tempo irreversibile" (La situazione drammatica Milano, 1967). Tesi che riprende quella di G. Manacorda: "Ellida è nata per essere rapita da qualche rude vichingo e goduta tra stridi e graffi e morsi (...) non per essere accarezzata, scientificamente curata e razionalisticamente catechizzata dal medico Wangel" ("Prefazione" a La donna del mare, Firenze, 1932). Insomma in questo dramma si è letto lo scontro fra natura e cultura fra libertà e comodità, fra istinto e ragione e fra questa serie di opposti la protagonista, tentata dai primi avrebbe poi ceduto ai secondi.
La lettura che questa messinscena propone è diversa. Accetta l'idea che la posizione di Ibsen sia comunque quella di chi colloca i suoi personaggi di fronte ad opposti inconciliabili, ma proprio per questo intende leggere il drammaturgo norvegese alla luce di Kierkegaard (non si dimentichi che la Norvegia dei tempi di Ibsen è dipendente, dal punto di vista culturale, dalla Danimarca). Qui Ellida non è la donna che sceglie la sicurezza borghese, ma colei che, a prescindere dal contenuto della scelta, agisce liberamente soltanto se sceglie priva di condizionamenti: non era stata libera sposando Wangel perché spinta dal vincolo di un "contratto" che le avrebbe assicurato agi e benessere, ma non sarebbe stata libera neppure se avesse scelto "lo straniero" vincolata da un istinto che la obbligava verso di lui. E la struttura circolare dell'opera ci dice che si può accettare una vita ritirata (quella che Ellida ottiene da Wangel) o una vita avventurosa (quella che Arnholm offre a Bolette) ma la vera libertà sta nell'assumersi in pieno le proprie responsabilità.
GIANCARLO LOFFARELLI