IL GIARDINO DEI CILIEGI
di
Anton P. Checov

NOTE DI REGIA 

Tre scelte di fondo hanno ispirato il mio lavoro su questo testo.

1. Il realismo. Pur sapendo perfettamente che Cechov ama il simbolismo, ho sempre creduto che la cifra tipica del suo stile sia il realismo. Non il naturalismo, certo. Ma senz'altro il realismo. Ho chiesto quindi allo scenografo una scena che rinunciasse, contemporaneamente, ad una minuziosità naturalistica che avrebbe soltanto appesantito lo spettacolo, e ad un simbolismo che lo avrebbe soltanto "sterilizzato". La stilizzazione della scena è stata quindi esclusivamente funzionale alla creazione di un'atmosfera, quell'atmosfera cechoviana riconoscibilissima che, credo, debba essere la protagoniosta assoluta dello spettacolo.

2. La commedia. Sappiamo che Cechov rimprovera a Stanislavskij di non aver colto la componente umoristica dei suoi testi, tanto che volle sottolineare questo fatto scrivendo appositamente, nel frontespizio del manoscritto del Giardino, sotto il titolo, la parola "commedia". Agli attori ho chiesto, quindi, di sfruttare pienamente tutte le situazioni da commedia che Cechov ha disseminato in tutto il testo, giocando come contrappunto rispetto ai momenti più intensi. Tale comicità, però, va ricercata più nel non detto che nel detto, più nelle situazioni che nei caratteri. ;

3. I sentimenti. Non ho mai condiviso la lettura "sociale" che s'è fatta di Cechov e del Giardino. Non che si possano ignorare i profondi radicamenti dei personaggi nel contesto storico della Russia del tempo. Ma il Giardino non narra la storia di una borghesia emergente (Lopachin) che ambisce a sostituirsi ad un'aristocrazia in crisi (Ljuba e Gaev). // Giardino dei ciliegi racconta l'effetto che il tempo produce nell'animo e nei sentimenti umani. I suoi personaggi sono costantemente sradicati dal presente, sempre rivolti nel ricordo struggente di un passato che non torna o proiettati nel desiderio spasmodico di un futuro che non arriva. Nessun tentativo di ammiccare al nostro presente, in questa regia. Non ce n'era bisogno. Il senso generale di spaesamento di chi viveva, alla fine dell'Ottocento, il transito fra due epoche, è lo stesso di chi attraversa, oggi, la soglia di due millenni.

GIANCARLO LOFFARELLI